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31 Gen 2025
Corte di Cassazione|Diritto processuale penale
Il Tribunale di Lagonegro, previa derubricazione del reato di maltrattamenti in minacce e percosse, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputata per difetto di querela.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso in Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, il quale preliminarmente affrontava la questione relativa al mezzo di impugnazione esperibile, ritenendo applicabile al caso di specie l’art. 593, comma 3, c.p.p., che sancisce l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento per reati puniti con la pena pecuniaria o con la pena alternativa.
La Corte, non condividendo la tesi del ricorrente, offre una diversa lettura della norma secondo la quale sarebbero inappellabili le sole sentenze di proscioglimento in cui la contestazione originaria aveva ad oggetto i reati di cui all’art. 593, comma 3, c.p.p. Se, al contrario, la sentenza è frutto della derubricazione del reato e l’impugnazione del Pubblico Ministero è volta a ristabilire la contestazione originaria, per la quale l’appello è invece ammesso, il regime dell’impugnazione prescinde dalla diversa qualificazione del reato operata dal Tribunale.
Attraverso l’ordinanza n. 3066 depositata il 27/01/2025 dalla Sesta Sezione, la Corte ha pertanto affermato il principio di diritto secondo il quale il Pubblico Ministero può impugnare con l’appello la sentenza di proscioglimento relativa ad un reato punito con la sola pena pecuniaria o alternativa, emessa a seguito di derubricazione del reato, purché l’impugnazione sia volta ad ottenere il riconoscimento del reato originariamente contestato, non rientrante nella previsione di cui all’art. 593, comma 3, c.p.p.
Segnalazione a cura dell’avv. Marialaura Brancato